La banda di Halloween

La banda di HalloweenQuando mi chiedono di raccontare una storia di paura, mi si stringe sempre lo stomaco e un brivido gelido mi corre lungo la schiena.
Non rispondo, faccio solo no con la testa e mi tolgo di torno per un po’. Alcuni fanno battute sceme, altri si lamentano della mia antipatia.
Ma questa volta sono i miei nipotini a chiedermelo e non riesco a cavarmela. È la notte di Halloween e sono finito nel loro cerchio delle storie dell’orrore. Anche se faccio di tutto per evitarlo, a furia di “dai, dai, per favore, per favore” ottengono ciò che vogliono.
È tutto buio in casa per creare un’atmosfera tetra. Mi passano la torcia. La rivolgo verso il pavimento e comincio.
Questa notte vi racconto perché sono diventato un detective.
Sento dei borbottii di delusione. Punto la luce sotto la mia faccia. Rimane solo la penombra.
Questa storia inzia proprio il 31 ottobre di 25 anni fa.
Quell’anno Jack, Shane e Lucie avevano deciso di trasvestirsi e di visitare le case del vicinato, a caccia di dolci, come da tradizione. Avevano preparato i costumi con cura e per tempo. Jack era uno zombie. Shane un vampiro. E Lucie una piccola strega. Visto che erano molto legati tra loro, avevano deciso di portare al collo, sopra il costume, un cartello con scritto “La banda di Halloween”.
Bussarono prima al 15 e poi al 14.
Al 13 vivevano Mark e Alba, una giovane coppia.
Mark era rientrato il 30 ottobre da un viaggio di lavoro e aveva portato alla sua ragazza un regalo comprato in un mercatino delle pulci. Nel vedere il pacchetto la mattina seguente, Alba si era sentita felice e amata. Ma poi lo aveva scartato e il suo volto era diventato una maschera di terrore, pallida come la morte. Dopo di che aveva iniziato a urlare in modo isterico e aggressivo. Mark era rimasto prima deluso, poi sconcertato e impaurito dalla sua reazione. In preda quasi a delle convulsioni, Alba urlava: “Buttalo via, non lo voglio più vedere”.
“Ok, ma non fare così” aveva provato a calmarla Mark.
Con la vista annebbiata dalle lacrime, Alba aveva continuato a inveire contro di lui e a gridare: “Buttalo via, buttalo via subito”.
Mark si era rassegnato, aveva raccolto la scatola caduta per terra e l’aveva portata lontano dalla vista di Alba. Ma non se l’era sentita di gettarla per davvero. L’aveva solo momentaneamente appoggiata, in un punto nascosto, dentro un armadio del salotto. Poi, ancora turbato, era dovuto scappare  al lavoro. Prima, ad ogni modo, era tornato da Alba, ma lei, accovacciata contro la parete della cucina, gli aveva solo balbettato: “Grazie per essertene sbarazzato”.
Nel pomeriggio Mark l’aveva chiamata per sincerarsi delle sue condizioni. Alba si era ripresa e si era scusata per quella reazione. “Poi ti spiego bene” gli aveva detto.
Tutti i bambini nel cerchio delle storie dell’orrore brancolavano nel buio e attendevano il momento in cui svelassi la connessione tra le due vicende. Presi il fiato e poi proseguii.
Quando Jack, Shane e Lucie bussarono al numero 13 ripeterono in coro: “Dolcetto o scherzetto?”
Alba forse non li sentì mai pronunciare quella frase, perché nella sua testa rimbombava soltanto la sua voce che urlava: “Io ti ammazzo maledetto pagliaccio, io ti ammazzo!”
Aprì la porta con gli occhi infossati dalle lacrime.  Aveva lo sguardo perso. Estrasse un cero in alluminio dalla zucca di Halloween adagiata davanti all’uscio. La banda riuscì solo a intravedere la casa messa a soqquadro. Poi Lucie non vide più nulla. Alba le assestò un colpo secco sopra la tempia, senza lasciarle scampo. Shane rimase immobile. La donna, fuori di sè, si avventò su di lui come una furia, colpendolo in testa ripetutamente, con dieci colpi. Al terzo il cuore del vampiro aveva già cessato di battere. Jack riuscì a divincolarsi e a scappare.
Il caso passò alla storia come “Il massacro della banda di Halloween”. Shane e Lucie avevano solo nove anni.
Sentivo aleggiare nell’aria un sentimento di terrore e potevo immaginare i miei nipotini, ammutoliti, sudare freddo. Continuai.
Al processo Alba giurò sulla bibbia di raccontare tutta la verità, soltanto la verità. Dichiarò di non aver mai visto quei bambini la notte del 31 ottobre. Raccontò, tremante, rievocando quel giorno, che Mark le aveva regalato una terrificante marionetta di un clown. Che lei detestava i pagliacci, fin da piccola. I loro nasi rossi e i loro sorrisi finti. La mettevano a disagio e le infondevano un profondo senso di inquietudine. Perciò lo aveva pregato, con tutto il cuore, di buttarla. Ma quella sera stessa, quando Mark non era ancora rincasato, aveva visto il pagliaccio riapparire dal nulla e poi camminare lentamente per il salotto. I fili si muovevano come se qualche entità maligna li manovrasse a distanza. La marionetta aveva trovato sulla sua strada un sofà, ma non si era fermata. Aveva iniziato a risalire il bracciolo del divano, facendo leva su un ombrellino blu che stringeva in una mano e camminando verso l’alto in modo inquietante. Poi aveva tagliato la superficie in obliquo ed era discesa, allo stesso modo, dallo schienale. A quel punto si era diretta verso di lei. Il pagliaccio le si era piantato di fronte, l’aveva fissata  con un ghigno malefico e, inclinando la testa leggermente di lato, in uno scatto meccanico,  aveva sussurrato: “Ora moriremo dal ridere…”
A quel punto Alba aveva iniziato a piangere. Poi come posseduta a sua volta, aveva afferrato un cuscino e cercato di centrare il clown. Per fare ciò di cui non era stato capace Mark. Sbarazzarsi di quell’essere terrificante. Aveva distrutto mezza casa, senza esito. Finchè, arrivati fuori, aveva visto la marionetta muoversi nel vuoto, come se questa volta stesse passeggiando sul profilo di sagome immaginarie. A quel punto, esasperata, aveva preso una candela e, in un impeto, iniziato a colpire a mezz’aria. Alla vista dei primi fiotti di sangue, si era iniziata a placare e, in breve, era sprofondata in un sonno profondo, nel freddo della notte.
I poliziotti che perquisirono la casa, seguendo le indicazioni di Mark, trovarono il clown attorcigliato tra i suoi fili e riposto dentro un involucro, in un armadio del salotto.
Quello fu il mio primo caso. Quella notte persi i miei migliori amici, per colpa di una donna che soffriva di coulrofobia: più nota come “paura dei clown”, un disturbo che colpisce più persone di quante possiate immaginare.
Per Alba venne richiesta l’infermità mentale. Il suo processo si concluse, di fatto, quando l’accusa chiamò al banco degli imputati il clown.
Il pagliaccio indossava per l’occasione un papillon a pois e un capello rosso in pendant con i pantaloni della salopette.
Naturalmente non aprì bocca, ma la sua “deposizione” fu comunque fondamentale.
Poco dopo che lo vide, Alba iniziò a dimenarsi e urlare in aula: “Fatelo smettere, non lo sentite? Fatelo smettere”.
Quando il giudice le chiese cosa avrebbe dovuto smettere di fare, Alba rispose: “Di fissarmi e ripetere quella domanda”. “Dolcetto o scherzetto?”

Andrea

PagliaccioScheda oggetto
Nome: Pagliaccio
Età: 15 anni
Taglia: M
Residenza: vetrinetta
Segni particolari: non fa ridere

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Andrea
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3 commenti

  1. Scritta davvero bene, ingredienti noir adeguati.
    Il pagliaccio sovente sotto la maschera è triste, qui invece è un orco!

  2. AAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHH impressionante!!!!!! mi vengono i brividi!!!!!!
    Mi ha fatto ridere nella maniera in cui ridono quelli che hanno paura dei clown: istericamente :D
    Tanti complimenti per un racconto di Halloween veramente pauroso. Fighissimo.

  3. Semplicemente geniale!!!!

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